Registratore (audio)
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Autori: Franco Lever, Natale Zanni
È un’apparecchiatura che permette di incidere il suono su un supporto magnetico e di risentirlo in momenti successivi. La novità rispetto a strumenti precedenti, come ad esempio il giradischi, sta nel fatto che il r. consente una piena manipolazione del suono: registrazione mono, stereo, oppure multipiste; pieno controllo sia in fase di registrazione sia nel missaggio successivo; possibilità di montaggio fisico, tagliando e giuntando il nastro, o elettronico, con la sola sostituzione di un suono o di un brano musicale in punti precisi del nastro. La qualità, proporzionata al tipo di utilizzazione (media, alta, altissima), ha costi controllabili (il nastro è utilizzabile più volte).
L’unità d’alimentazione fornisce l’energia, prendendola dalla rete o utilizzando delle batterie.
L’unità di trascinamento è costituita principalmente da motorini elettrici (uno o più), da sistemi di frenatura, da rulli di pressione e guide per mantenere la velocità costante sia in registrazione sia in ascolto. La velocità di scorrimento del nastro è standardizzata, in modo da consentire l’interscambio dei programmi (2,4 cm/sec.; 4,75 come nei r. a cassetta; 9,5; 19 e 38 nelle macchine professionali: a parità di condizioni, più elevata è la velocità di scorrimento, migliore è la qualità di registrazione).
L’unità di registrazione e riproduzione dei suoni è formata da uno o due ingressi microfonici (quando il r. è stereo); da testine (due, sovente tre o più) per cancellare/registrare/riprodurre il suono; da un sistema d’amplificazione necessario sia per la registrazione sia per la riproduzione; e da casse acustiche, più o meno sofisticate, per diffondere il suono nell’ambiente (le casse non sono presenti nelle macchine professionali, perché queste ultime sono sempre inserite in sistemi completi; d’obbligo invece l’attacco per l’ascolto in cuffia).
L’unità di servizi riunisce i comandi per decidere le singole operazioni (play, pausa, stop, record, avanti e indietro veloce).
La strumentazione (Vu-meter, peackmeter, contasecondi o contagiri...) consente di tener sotto controllo la qualità della registrazione, la durata del programma, la localizzazione di un determinato punto sul nastro.
Il tutto deve essere collocato in un involucro compatto e robusto.
La qualità di un r. è misurata secondo questi parametri:
la fedeltà: indica la capacità di gestire una banda più o meno ampia di frequenze (la banda di frequenze ottimali per un buon r. è compresa tra 20 - 20.000 Hz);
la distorsione: indica di quanto il suono riprodotto si discosta dall’originale passando attraverso le diverse conversioni elettromagnetiche: minore la distorsione migliore il r.;
wow e flutter: esprimono con quale precisione e costanza scorra il nastro;
la diafonia: evidenzia il rapporto tra il segnale registrato nella pista 1 e quello che si otterrà nella pista 2 (quella accanto) per induzione (se c’è diafonia il segnale di una pista interferisce con il segnale dell’altra);
il rapporto suono/rumore di fondo: un indice alto è garanzia di qualità;
la potenza in uscita, legata alla potenza sonora che l’apparecchio è in grado di emettere dai suoi altoparlanti. Non sempre questo dato è significativo, perché, particolarmente negli impianti di un certo livello, si preferisce amplificare e diffondere il segnale con un apparecchio esterno.
a) la capacità di un microfono di convertire le onde sonore generate da una voce in una corrente elettrica con caratteristiche ondulatorie analoghe (il microfono a carbone era stato inventato da D. E. Hughes nel 1877);
b) l’induzione elettromagnetica, oggetto di studio già dal 1830 da parte di J. Henry e M. Faraday. Si tratta di un fenomeno che è alla base dell’intera industria moderna; basti pensare che grazie a questo principio gli alternatori nelle centrali elettriche generano corrente e per lo stesso principio un hard disk conserva le informazioni di un computer. È un processo reversibile: in un circuito elettrico un flusso variabile di corrente determina tutt’intorno un campo magnetico che cambia di intensità e polarità allo stesso modo; e, in modo simmetrico, un campo magnetico variabile all’interno di un circuito elettrico che lo attraversi genera una corrente elettrica variabile con le stesse modalità;
c) la proprietà dell’acciaio: se immerso in un campo magnetico, resta magnetizzato in modo analogo e permanente, salvo l’intervento successivo di altro campo magnetico più forte e dunque capace di modificarlo ulteriormente.
Valdemar Poulsen, in quanto ingegnere telefonico, sapeva bene come tradurre con un microfono le vibrazioni della voce o di un suono in una corrente elettrica, conservando identico l’andamento ondulatorio del segnale. Inserì in questo circuito un elettromagnete, in modo tale da trasformare le variazioni elettriche in variazioni di campo magnetico. Rimaneva il problema di come memorizzare la successione delle variazioni. A disposizione c’era il modello del telegrafo, dove i punti e le linee venivano ‘scritti’ su un nastro di carta che scorreva a velocità opportuna. Al posto del nastro di carta Poulsen pose un filo sottile di acciaio, sfruttando caratteristiche di cui si è detto. Il filo dunque scorre davanti all’elettromagnete e si magnetizza, memorizzando in sequenza le variazioni di campo magnetico. Il processo è perfettamente reversibile: il filo d’acciaio scorre alla stessa velocità di prima davanti alla testina magnetica (l’elettromagnete), sottoponendola a campi magnetici variabili; nel circuito si genera corrente elettrica con le medesime variazioni; alla fine della catena un altoparlante entra in vibrazione e riproduce il suono iniziale.
Nel 1900 Poulsen presentò il suo telegrafono alla mostra internazionale di Parigi, per lanciarne la produzione in Europa e in USA, ma nessuno si interessò alla sua invenzione.
L’insuccesso della proposta di Poulsen potrebbe essere attribuito all’ancora scarsa fedeltà del sistema e alla sua macchinosità (occorrevano oltre due metri di filo di acciaio per ogni secondo di registrazione); in realtà, lo strumento era in anticipo sui tempi: sarà la radio, la sua esigenza di programmi di qualità garantiti in anticipo e non giocati sempre in diretta e l’importanza di un ‘magazzino’ efficiente, che faranno da traino allo sviluppo qualitativo e al successo commerciale del r.; poi verrà una domanda di consumo musicale non solo sganciato dai luoghi deputati, ma totalmente personalizzato e il r. diventerà uno strumento di uso personale. Anche la televisione avrà bisogno di una macchina analoga (Videoregistratore) così come il mondo dei computer (Registrazione).
Due di essi arrivano in USA nei laboratori Ampex, un’industria appena fondata da un emigrato russo, l’ingegnere Alexander M. Poniatoff: senz’ombra di dubbio erano qualitativamente molto superiori alle analoghe apparecchiature americane. Poniatoff intuì la potenzialità commerciale di quelle macchine e decise di studiarle a fondo per riprodurle e metterle in commercio. Due anni dopo venne presentato il primo r. Ampex, il Model 200. A determinarne la rapidissima diffusione nelle stazioni radio e nei centri di registrazione musicale furono due artisti, che seppero utilizzareil Model 200 in modo da rivoluzionare sia la maniera di fare radio sia le produzioni musicali: il cantante Bing Crosby e il chitarrista Les Paul. Bing Crosby, che non amava ripetere in diretta i suoi programmi, acquistò immediatamente 20 esemplari della nuova macchina, non perché intendesse utilizzarli tutti, ma perché la ditta, senza un tale ordinativo, non intendeva avviare la produzione; Les Paul, assieme alla moglie Mary Ford, inventò le esecuzioni musicali dove la stessa persona suona e canta strumenti e linee melodiche diverse in registrazioni successive (dapprima usò due r. collegati a cascata, poi si fece costruire da Ampex un r. a otto piste). Il successo della macchina presso le stazioni radio americane fu così immediato e clamoroso che il nome Ampex divenne sinonimo di registrazione magnetica (tanto più che nel 1956 la stessa Ampex realizzerà anche il primo videoregistratore, per vari anni chiamato per antonomasia Ampex).
Sul finire degli anni Cinquanta il r. divenne uno strumento popolare; la sua penetrazione a livello amatoriale fu favorita dall’adozione a livello internazionale della cassetta (brevetto Philips, 1962) e dalle tecniche che hanno decisamente migliorato la qualità della registrazione e dell’ascolto (del 1967 è l’introduzione del sistema Dolby).
Il massimo della popolarità il r. lo deve però all’industria giapponese Sony che nel 1979 ha introdotto il walkman. Moltissime persone, soprattutto i giovani, hanno adottato questo piccolo strumento tascabile per personalizzare lo spazio e il tempo delle loro giornate.
Negli anni Ottanta incomincia l’era del digitale, che determina un doppio destino per il r.: da una parte esso subisce un duro attacco a causa dell’introduzione del CD audio (brevetto Philips e Sony, 1982); dall’altra si apre un nuovo fronte di utilizzazione: la memorizzazione su nastro di qualunque tipo di segnali sotto forma di byte, dall’immagine, al suono, ai programmi.
Nel 1986 la Sony presentò il DAT (Digital Audio Tape), un r. che usava un modello nuovo di cassetta e adottava dalla tecnologia video la scansione elicoidale con la testina rotante, registrando il suono in forma digitale con una fedeltà più alta di quella del CD. Lanciato per conquistare il mondo consumer, il DAT guadagnò invece per almeno un ventennio il favore del mondo professionale.
Da parte sua la Philips, nel 1991, lanciava la DCC (Digital Compact Cassette), puntando a un successo analogo a quello ottenuto nel 1962. Fu invece un fallimento, nonostante il fatto che l’apparecchio aprisse una strada nuova. Per questa linea di r. non solo veniva adottato il linguaggio digitale, ma il segnale audio prima di essere registrato subiva una vera e propria trasformazione. Poiché l’orecchio umano non è in grado di percepire se non parte dello spettro acustico, tanto vale lasciar perdere tutto ciò che non viene udito; in questo modo si risparmia in tecnologia e nastro, pur garantendo la massima qualità fruibile.
La ricerca comincia dunque a seguire un nuovo orientamento: non più soltanto la messa a punto di tecniche che memorizzino perfettamente il suono, ma anche lo studio del processo percettivo umano per individuare e dunque elaborare solo le informazioni utili e la messa a punto di algoritmi che trattano il segnale audio come un file di dati, da cui è possibile sottrarre l’eccesso di ridondanza (Compressione).
I risultati non si sono fatti attendere: la Sony nel gennaio del 1992 propone il MiniDisc, di fatto un walkman dalle prestazioni altissime (usa la registrazione ottico-magnetica), immediatamente adottato da molti altri produttori; qualche anno dopo ha un successo incredibile lo standard di compressione musicale Mp3, un modo di codificare la musica estremamente potente, tanto da mantenere altissima la qualità sonora pur traducendo il brano in un file particolarmente leggero e dunque facile da scambiare in Internet o da memorizzare su un nuovo di tipo di strumento portatile il lettore Mp3 privo di qualsiasi parte mobile: non più nastri né dischi, soltanto chip di memoria, una porta di connessione con il computer, la presa per gli auricolari.
a) Con il disco a registrazione magneto-ottica la tecnologia ha messo a punto un supporto dalle prestazioni straordinarie: assoluta qualità audio, maggiore praticità (è ad accesso casuale, consente cioè il passaggio da un punto all’altro del programma in una frazione di secondo, mentre il nastro bisogna pur sempre svolgerlo o riavvolgerlo); è molto meno costoso, meno ingombrante, più sicuro (perde le informazioni solo se sottoposto a nuova registrazione), duplicabile a volontà senza degradazioni.
b) Il computer è diventato il miglior strumento per elaborare il suono, sia per il dilettante sia per il professionista: dotato di masterizzatore a tecnologia magneto-ottica, non solo riproduce, ma registra, anche sul piccolo disco di plastica, ore di musica con la stessa facilità e con maggior qualità del migliore dei r.; dotato poi di software opportuno, diventa un vero e proprio studio di registrazione, con mixer, simulatore di r. a più piste, unità di effetti.
c) L’avvento di chip di memoria molto potenti, la contemporanea codificazione efficace del suono e la diffusione di Internet hanno creato le premesse per nuovi tipi di strumenti privi di parti in movimento, facilmente interfacciabili via rete con il computer e con centri di servizi dedicati.
Come le stazioni radio possono già oggi fare a meno di qualsiasi r. (salvo per i materiali di archivio non ancora riversati o per contributi pervenienti dall’esterno su nastro), così anche l’appassionato in un breve futuro guarderà al r. come a un pezzo da conservare più per simpatia, che non per utilità.
1. La macchina
Il r. indipendentemente dalle sue dimensioni è composto da alcune parti che hanno funzioni specifiche: L’unità d’alimentazione fornisce l’energia, prendendola dalla rete o utilizzando delle batterie.
L’unità di trascinamento è costituita principalmente da motorini elettrici (uno o più), da sistemi di frenatura, da rulli di pressione e guide per mantenere la velocità costante sia in registrazione sia in ascolto. La velocità di scorrimento del nastro è standardizzata, in modo da consentire l’interscambio dei programmi (2,4 cm/sec.; 4,75 come nei r. a cassetta; 9,5; 19 e 38 nelle macchine professionali: a parità di condizioni, più elevata è la velocità di scorrimento, migliore è la qualità di registrazione).
L’unità di registrazione e riproduzione dei suoni è formata da uno o due ingressi microfonici (quando il r. è stereo); da testine (due, sovente tre o più) per cancellare/registrare/riprodurre il suono; da un sistema d’amplificazione necessario sia per la registrazione sia per la riproduzione; e da casse acustiche, più o meno sofisticate, per diffondere il suono nell’ambiente (le casse non sono presenti nelle macchine professionali, perché queste ultime sono sempre inserite in sistemi completi; d’obbligo invece l’attacco per l’ascolto in cuffia).
L’unità di servizi riunisce i comandi per decidere le singole operazioni (play, pausa, stop, record, avanti e indietro veloce).
La strumentazione (Vu-meter, peackmeter, contasecondi o contagiri...) consente di tener sotto controllo la qualità della registrazione, la durata del programma, la localizzazione di un determinato punto sul nastro.
Il tutto deve essere collocato in un involucro compatto e robusto.
La qualità di un r. è misurata secondo questi parametri:
la fedeltà: indica la capacità di gestire una banda più o meno ampia di frequenze (la banda di frequenze ottimali per un buon r. è compresa tra 20 - 20.000 Hz);
la distorsione: indica di quanto il suono riprodotto si discosta dall’originale passando attraverso le diverse conversioni elettromagnetiche: minore la distorsione migliore il r.;
wow e flutter: esprimono con quale precisione e costanza scorra il nastro;
la diafonia: evidenzia il rapporto tra il segnale registrato nella pista 1 e quello che si otterrà nella pista 2 (quella accanto) per induzione (se c’è diafonia il segnale di una pista interferisce con il segnale dell’altra);
il rapporto suono/rumore di fondo: un indice alto è garanzia di qualità;
la potenza in uscita, legata alla potenza sonora che l’apparecchio è in grado di emettere dai suoi altoparlanti. Non sempre questo dato è significativo, perché, particolarmente negli impianti di un certo livello, si preferisce amplificare e diffondere il segnale con un apparecchio esterno.
2. Origine e principi di funzionamento
Il prototipo di questo macchina venne messo a punto nel 1893 da Valdemar Poulsen, un ingegnere danese che lavorava per la società telefonica nazionale. Al nuovo apparecchio diede il nome di telegrafono. Esso sfruttava fondamentalmente tre procedure di tipo elettrico e magnetico:a) la capacità di un microfono di convertire le onde sonore generate da una voce in una corrente elettrica con caratteristiche ondulatorie analoghe (il microfono a carbone era stato inventato da D. E. Hughes nel 1877);
b) l’induzione elettromagnetica, oggetto di studio già dal 1830 da parte di J. Henry e M. Faraday. Si tratta di un fenomeno che è alla base dell’intera industria moderna; basti pensare che grazie a questo principio gli alternatori nelle centrali elettriche generano corrente e per lo stesso principio un hard disk conserva le informazioni di un computer. È un processo reversibile: in un circuito elettrico un flusso variabile di corrente determina tutt’intorno un campo magnetico che cambia di intensità e polarità allo stesso modo; e, in modo simmetrico, un campo magnetico variabile all’interno di un circuito elettrico che lo attraversi genera una corrente elettrica variabile con le stesse modalità;
c) la proprietà dell’acciaio: se immerso in un campo magnetico, resta magnetizzato in modo analogo e permanente, salvo l’intervento successivo di altro campo magnetico più forte e dunque capace di modificarlo ulteriormente.
Valdemar Poulsen, in quanto ingegnere telefonico, sapeva bene come tradurre con un microfono le vibrazioni della voce o di un suono in una corrente elettrica, conservando identico l’andamento ondulatorio del segnale. Inserì in questo circuito un elettromagnete, in modo tale da trasformare le variazioni elettriche in variazioni di campo magnetico. Rimaneva il problema di come memorizzare la successione delle variazioni. A disposizione c’era il modello del telegrafo, dove i punti e le linee venivano ‘scritti’ su un nastro di carta che scorreva a velocità opportuna. Al posto del nastro di carta Poulsen pose un filo sottile di acciaio, sfruttando caratteristiche di cui si è detto. Il filo dunque scorre davanti all’elettromagnete e si magnetizza, memorizzando in sequenza le variazioni di campo magnetico. Il processo è perfettamente reversibile: il filo d’acciaio scorre alla stessa velocità di prima davanti alla testina magnetica (l’elettromagnete), sottoponendola a campi magnetici variabili; nel circuito si genera corrente elettrica con le medesime variazioni; alla fine della catena un altoparlante entra in vibrazione e riproduce il suono iniziale.
Nel 1900 Poulsen presentò il suo telegrafono alla mostra internazionale di Parigi, per lanciarne la produzione in Europa e in USA, ma nessuno si interessò alla sua invenzione.
L’insuccesso della proposta di Poulsen potrebbe essere attribuito all’ancora scarsa fedeltà del sistema e alla sua macchinosità (occorrevano oltre due metri di filo di acciaio per ogni secondo di registrazione); in realtà, lo strumento era in anticipo sui tempi: sarà la radio, la sua esigenza di programmi di qualità garantiti in anticipo e non giocati sempre in diretta e l’importanza di un ‘magazzino’ efficiente, che faranno da traino allo sviluppo qualitativo e al successo commerciale del r.; poi verrà una domanda di consumo musicale non solo sganciato dai luoghi deputati, ma totalmente personalizzato e il r. diventerà uno strumento di uso personale. Anche la televisione avrà bisogno di una macchina analoga (Videoregistratore) così come il mondo dei computer (Registrazione).
3. Sviluppo e diffusione
Furono l’industria tedesca e il regime nazista nei primi anni Trenta a capire per primi le potenzialità di sviluppo dello strumento di Poulsen. Una prima decisiva modifica fu l’adozione del nastro magnetico al posto del filo di acciaio. Subito notevoli furono i vantaggi: un deciso miglioramento qualitativo, la maggior durata delle registrazioni, la possibilità di modificare il programma registrato intervenendo con opportuni tagli di montaggio. All’inizio degli anni Trenta le industrie tedesche AEG e BASF misero a punto un nastro di grande qualità; per questi supporti la I. G. Farben studiò un r. che risultò particolarmente valido (1935). Durante la guerra gli alleati schierati sui fronti europei più volte si chiesero come poteva fare Hitler a tenere i suoi discorsi da stazioni radio lontane l’una dall’altra: le trasmissioni erano così chiare e senza i rumori di fondo tipici delle incisioni su disco di vinile, da far pensare a rapidi spostamenti del Führer. Il mistero venne chiarito a fine guerra quando i magnetofoni a nastro tedeschi vennero sequestrati e immediatamente spediti nei laboratori occidentali.Due di essi arrivano in USA nei laboratori Ampex, un’industria appena fondata da un emigrato russo, l’ingegnere Alexander M. Poniatoff: senz’ombra di dubbio erano qualitativamente molto superiori alle analoghe apparecchiature americane. Poniatoff intuì la potenzialità commerciale di quelle macchine e decise di studiarle a fondo per riprodurle e metterle in commercio. Due anni dopo venne presentato il primo r. Ampex, il Model 200. A determinarne la rapidissima diffusione nelle stazioni radio e nei centri di registrazione musicale furono due artisti, che seppero utilizzareil Model 200 in modo da rivoluzionare sia la maniera di fare radio sia le produzioni musicali: il cantante Bing Crosby e il chitarrista Les Paul. Bing Crosby, che non amava ripetere in diretta i suoi programmi, acquistò immediatamente 20 esemplari della nuova macchina, non perché intendesse utilizzarli tutti, ma perché la ditta, senza un tale ordinativo, non intendeva avviare la produzione; Les Paul, assieme alla moglie Mary Ford, inventò le esecuzioni musicali dove la stessa persona suona e canta strumenti e linee melodiche diverse in registrazioni successive (dapprima usò due r. collegati a cascata, poi si fece costruire da Ampex un r. a otto piste). Il successo della macchina presso le stazioni radio americane fu così immediato e clamoroso che il nome Ampex divenne sinonimo di registrazione magnetica (tanto più che nel 1956 la stessa Ampex realizzerà anche il primo videoregistratore, per vari anni chiamato per antonomasia Ampex).
Sul finire degli anni Cinquanta il r. divenne uno strumento popolare; la sua penetrazione a livello amatoriale fu favorita dall’adozione a livello internazionale della cassetta (brevetto Philips, 1962) e dalle tecniche che hanno decisamente migliorato la qualità della registrazione e dell’ascolto (del 1967 è l’introduzione del sistema Dolby).
Il massimo della popolarità il r. lo deve però all’industria giapponese Sony che nel 1979 ha introdotto il walkman. Moltissime persone, soprattutto i giovani, hanno adottato questo piccolo strumento tascabile per personalizzare lo spazio e il tempo delle loro giornate.
Negli anni Ottanta incomincia l’era del digitale, che determina un doppio destino per il r.: da una parte esso subisce un duro attacco a causa dell’introduzione del CD audio (brevetto Philips e Sony, 1982); dall’altra si apre un nuovo fronte di utilizzazione: la memorizzazione su nastro di qualunque tipo di segnali sotto forma di byte, dall’immagine, al suono, ai programmi.
Nel 1986 la Sony presentò il DAT (Digital Audio Tape), un r. che usava un modello nuovo di cassetta e adottava dalla tecnologia video la scansione elicoidale con la testina rotante, registrando il suono in forma digitale con una fedeltà più alta di quella del CD. Lanciato per conquistare il mondo consumer, il DAT guadagnò invece per almeno un ventennio il favore del mondo professionale.
Da parte sua la Philips, nel 1991, lanciava la DCC (Digital Compact Cassette), puntando a un successo analogo a quello ottenuto nel 1962. Fu invece un fallimento, nonostante il fatto che l’apparecchio aprisse una strada nuova. Per questa linea di r. non solo veniva adottato il linguaggio digitale, ma il segnale audio prima di essere registrato subiva una vera e propria trasformazione. Poiché l’orecchio umano non è in grado di percepire se non parte dello spettro acustico, tanto vale lasciar perdere tutto ciò che non viene udito; in questo modo si risparmia in tecnologia e nastro, pur garantendo la massima qualità fruibile.
La ricerca comincia dunque a seguire un nuovo orientamento: non più soltanto la messa a punto di tecniche che memorizzino perfettamente il suono, ma anche lo studio del processo percettivo umano per individuare e dunque elaborare solo le informazioni utili e la messa a punto di algoritmi che trattano il segnale audio come un file di dati, da cui è possibile sottrarre l’eccesso di ridondanza (Compressione).
I risultati non si sono fatti attendere: la Sony nel gennaio del 1992 propone il MiniDisc, di fatto un walkman dalle prestazioni altissime (usa la registrazione ottico-magnetica), immediatamente adottato da molti altri produttori; qualche anno dopo ha un successo incredibile lo standard di compressione musicale Mp3, un modo di codificare la musica estremamente potente, tanto da mantenere altissima la qualità sonora pur traducendo il brano in un file particolarmente leggero e dunque facile da scambiare in Internet o da memorizzare su un nuovo di tipo di strumento portatile il lettore Mp3 privo di qualsiasi parte mobile: non più nastri né dischi, soltanto chip di memoria, una porta di connessione con il computer, la presa per gli auricolari.
4. Il futuro del r.
Il DAT e la DCC costituiscono, forse, l’ultimo tentativo dei produttori di difendere la sopravvivenza del r. contro l’avanzata delle nuove tecnologie legate al laser e ai CD. La battaglia però sembra persa per almeno tre ragioni.a) Con il disco a registrazione magneto-ottica la tecnologia ha messo a punto un supporto dalle prestazioni straordinarie: assoluta qualità audio, maggiore praticità (è ad accesso casuale, consente cioè il passaggio da un punto all’altro del programma in una frazione di secondo, mentre il nastro bisogna pur sempre svolgerlo o riavvolgerlo); è molto meno costoso, meno ingombrante, più sicuro (perde le informazioni solo se sottoposto a nuova registrazione), duplicabile a volontà senza degradazioni.
b) Il computer è diventato il miglior strumento per elaborare il suono, sia per il dilettante sia per il professionista: dotato di masterizzatore a tecnologia magneto-ottica, non solo riproduce, ma registra, anche sul piccolo disco di plastica, ore di musica con la stessa facilità e con maggior qualità del migliore dei r.; dotato poi di software opportuno, diventa un vero e proprio studio di registrazione, con mixer, simulatore di r. a più piste, unità di effetti.
c) L’avvento di chip di memoria molto potenti, la contemporanea codificazione efficace del suono e la diffusione di Internet hanno creato le premesse per nuovi tipi di strumenti privi di parti in movimento, facilmente interfacciabili via rete con il computer e con centri di servizi dedicati.
Come le stazioni radio possono già oggi fare a meno di qualsiasi r. (salvo per i materiali di archivio non ancora riversati o per contributi pervenienti dall’esterno su nastro), così anche l’appassionato in un breve futuro guarderà al r. come a un pezzo da conservare più per simpatia, che non per utilità.
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Bibliografia
- CORALLO Dario, Manuale pratico del registratore audio hi-fi, Pagnini e Martinelli, Pistoia 1992.
- GAY Paul - HALL Stuart, Doing cultural studies. The story of Sony Walkman, Sage, London 1997.
- KOULOUMDJIAN Marie-France, Le walkman et ses pratiques, CCETT, Rennes 1986.
- RUSS Martin, Sound synthesis and sampling. The CD-ROM, Focal Press, Boston (MA) 1999.
- SINCLAIR Ian R. (ed.), Audio & Hi-Fi handbook, Newnes, Oxford 1993.
- WATKINSON John, The art of sound reproduction, Focal Press, Boston (MA) 1998.
- WHITE Paul, The sound-on-sound book of creative recording II, Sanctuary Publishing Limited, London 1998.
- WINSTON Brian, Media technology and society. A history: from the telegraph to the Internet, Routledge, London 1998.
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Note
Come citare questa voce
Lever Franco , Zanni Natale , Registratore (audio), in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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